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Il mito di Enea: un’intervista a Maurizio Bettini e Mario Lentano (Seconda parte)

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di Flaminia Beneventano e Marco Vespa

enea e anchise bernini

Pubblichiamo oggi la seconda e ultima parte dell’intervista agli autori del saggio Il mito di Enea, recentemente pubblicato nella collana Mythologica EinaudiMaurizio Bettini, filologo e antropologo del mondo antico e saggista, ha scritto Il racconto di Enea, in apertura al volume; Mario Lentano, studioso di letteratura e cultura latina, è l’autore del saggio. Potete leggere qui la prima parte.

Prof. Lentano, passando a un altro tema fondamentale del suo studio, ovvero lo statuto di Enea come eroe fondatore a Roma: all’inizio del capitolo dedicato a questo argomento, lei si chiede come mai i Romani abbiano scelto come proprio iniziatore un personaggio esule, straniero e capostipite di una discendenza dal sangue misto troiano-italico (p. 162). Quali risposte fornisce la sua ricerca a questo interrogativo?

Lentano: Contrariamente a quello che potrebbe suggerire il senso comune, il mito delle origini non è un mito che nasce alle origini, anzi, è forse il più tardivo nella sua elaborazione: il modo di pensare le proprie origini esiste proprio in funzione del punto di vista dal quale le si pensa. Di conseguenza i miti delle origini sono più di altri miti soggetti a rinegoziazioni continue. Il mito delle origini di Roma è uno di questi casi: fino ad adesso gli studiosi hanno cercato di spingere il più possibile all’indietro il momento in cui figure come Romolo ed Enea compaiono nelle testimonianze. Il lavoro contrario però è quello di cercare di capire fino a quando queste figure hanno continuato ad essere oggetto di rielaborazione e le loro vicende hanno continuato ad essere manipolate. Questo processo, all’epoca di Virgilio, è ancora lontanissimo dall’essersi compiuto: il mito ha assunto una sua stabilità, ma è ancora tutt’altro che univoco – tant’è che lo stesso Virgilio all’interno dell’Eneide aveva lasciato aperte varie possibilità anche su questioni cruciali. Questo vale anche per il mito delle origini di Roma in generale; si tratta di un mito che rimane aperto per molto tempo e con varie possibilità: varianti che attribuivano la fondazione di Roma a Odisseo, varianti esclusivamente latine, o latino-etrusche e così via. Alla fine la cultura romana sembra aver optato per una soluzione che mette insieme la figura di Enea e quelle di Romolo e Remo; la tesi che io cerco di sostenere è che questa soluzione non è casuale ma discende proprio dal modo in cui i Romani concepiscono se stessi. È significativo che i Romani abbiano scartato la possibilità di un’origine esclusivamente greca o anche esclusivamente indigena, sebbene sappiamo che racconti di questo genere erano stati inventati ed erano disponibili sul mercato. La soluzione mista rispecchia evidentemente il loro modo di concepirsi come una entità plurale, aperta agli apporti di culture diverse,  non ossessionata da  un’idea di purezza razziale o rivendicazione di autoctonia, che anzi i Romani guardano con una certa ironia.

Questo a proposito delle origini. Invece, in merito alla fine di Enea, lei spiega come la costruzione di un eroe prenda forma intorno ad alcuni punti nodali, come ad esempio il tema della scomparsa come alternativa alla morte. Qual è il ruolo di questo espediente?

Lentano: Io sono erede di una lunga tradizione di studi sulle biografie eroiche, ad esempio quelli di Ezio Pellizzer, che hanno messo in luce come la biografia di un eroe proceda attraverso una serie di momenti chiave. Uno di questi momenti è sicuramente quello terminale: così come gli eroi non nascono mai normalmente, non muoiono quasi mai normalmente. La loro morte è associata a eventi cosmici, oppure è una morte eroica in battaglia, a volte assume la coloritura particolare della scomparsa. Esiste addirittura una formula specifica in latino, nusquam comparuit: l’eroe a un certo punto non appare più da nessuna parte. Il che non equivale a dire che è morto, il suo corpo non viene mai trovato, l’eroe si è sottratto alla vista.  Enea in quelle testimonianze non numerosissime che riguardano la sua morte viene appunto presentato come colui del quale non è più stato trovato il corpo. 

Dunque Enea ha rappresentato non solo il protagonista dell’epos latino, ma soprattutto un mito di potere e di fondazione identitaria per gran parte della cultura romana, divenendo poi oggetto di interesse della retorica politica che, sin dal periodo di formazione degli stati nazionali moderni – per non parlare della propaganda fascista, ha costruito, o tentato di costruire, innumerevoli “discorsi collettivi” e “storie patrie” richiamandosi al paradigma di Enea, pius e campione della virtus militaris. Questa è però la vicenda ufficiale, potremmo dire quasi l’invenzione riuscita di un idolo mediatico, ma esistevano altre storie su Enea, quelle che la cultura latina chiamava così efficacemente fabulae, al contempo racconti, discorsi ma anche dicerie, malevole chiacchiere,  insomma versioni non autorizzate di un episodio eppure provviste di una propria autorità?

Lentano: Esistono varianti assolutamente diseroicizzanti di Enea, come quella elaborata dalla tradizione cristiana, per ovvie ragioni. Un passo dell’Ad nationes di Tertulliano è particolarmente godibile: Tertulliano riorganizza l’intera percezione della figura di Enea sia dal punto di vista della sua militaris virtus ma anche da quello della pietas. Cosa dovrebbe essere questa pietas, l’essersi preso sulle spalle un vecchio decrepito e un bambino abbandonando invece Priamo e Astianatte alla loro sorte?! Non ci sarebbe niente di meritorio in tutto questo. Esiste però anche una variante molto più corposamente documentata nella nostra tradizione, che  è quella di Enea il traditore, resosi colpevole di accordi con gli Achei fino a consegnare la sua città nelle mani dei nemici. È interessante che anche questa immagine di Enea affondi le sue radici ultime in Omero, che si conferma una volta di più una sorta di grande bacino a partire dal quale sono nate tutte le storie venute dopo, anche in contrasto tra loro. Nel XIII libro dell’Iliade si parla di Enea che viene trovato da un guerriero troiano in ultima fila, posizione assolutamente incongrua per un promachos (guerriero da prima fila). Omero spiega che era lì perché era adirato contro Priamo che non lo aveva onorato abbastanza; siamo quindi davanti a un Enea molto achilleo, da questo punto di vista. A partire da questo cenno assolutamente minimale in Omero si sviluppa poi tutto un filone della tradizione che lavora su questa idea dell’inimicizia tra Priamo ed Enea, fra Enea e Paride e sviluppa questa immagine di Enea che per risentimento arriva al punto di passare dalla parte degli Achei.

Prof. Bettini, nel 1976 Michel Foucault in La volonté de savoir dichiarava con precisione: «I discorsi, come i silenzi d’altronde, non sono sottomessi al potere o rivolti contro di lui una volta per tutte. Bisogna ammettere un gioco complesso ed instabile in cui il discorso può essere contemporaneamente strumento ed effetto di potere, ma anche ostacolo, intoppo, punto di partenza ed inizio di una strategia opposta. Il discorso trasmette e produce potere; lo rafforza ma lo mina anche, l’espone, lo rende fragile e permette di opporgli ostacoli». In che modo questa riflessione del filosofo francese può essere riconnessa alle complesse e spesso opposte strategie che nel corso dei secoli hanno visto affrontarsi apologeti e inquisitori di Enea? Di particolare interesse sembrano a questo proposito le pratiche discorsive finalizzate alla demolizione di una cultura e di un gruppo politico per mezzo del discredito gettato sui protagonisti della sua memoria collettiva, come è ben esemplificato dalle narrazioni ‘controstoriche’ che nascono da un segmento discorsivo all’apparenza innocuo, se non funzionale al racconto ufficiale, quale principibus permixtum Achivis, «in mezzo ai principi Achei», detto appunto di Enea.

Bettini: Prima della domanda sulla controstoria, che immaginavo sarebbe arrivata, volevo dire una cosa a proposito delle storie in generale. Chiunque le studi, soprattutto se sono storie che vengono dal mondo passato, può incorrere in due errori: uno è quello di pensare che chi sta dentro queste storie e le ha prodotte le abbia tutte sotto controllo. Questo non è vero, perché siamo noi semmai che abbiamo sotto controllo tutto insieme quello che ci è arrivato, ma chi ci sta dentro normalmente ne sa solo una parte; analogie, contraddizioni, siamo noi che le creiamo tenendo un punto di vista esterno che non corrisponde a quello interno. In secondo luogo, la contraddizione è tanto importante e insita nella tradizione quanto la coerenza, per cui non  è affatto detto che la presenza di contraddizioni e versioni diverse e rinarrazioni sia qualcosa che deriva da intenzione o errore. Uno dei grandi meriti della antropologia novecentesca e soprattutto francese è quello di aver spinto molto avanti il desiderio di razionalizzare e strutturare, però questo è anche uno dei suoi limiti, che spesso ci impedisce di capire il vero senso delle contraddizioni. Fatta questa breve premessa, penso che qualsiasi fenomeno di controstoria normalmente si rivolge a grandi storie e grandi eventi, soprattutto quelli che stanno alla base di grandi movimenti politici e sociali. Non mi sembra un caso che oggi le controstorie sono tipicamente sulla Shoah e sulle varie resistenze. Ancora su queste cose si fonda la civiltà contemporanea; purtroppo fra qualche decennio secondo me non ci saranno più controstorie contro questi eventi che non saranno più, ahimè, rilevanti per la cultura e la società del futuro. La controstoria si fa sempre su cose vive e che hanno grande impatto. Il problema di Enea, e questo lo spiega meglio il Prof. Lentano nel suo libro di me,  è che nei secoli ha continuato ad essere la base di narrative e di eventi molto rilevanti. La controstoria su Enea era quindi, non solo in età Augustea ma anche molto dopo nel tempo, sempre contemporanea.

Concludiamo parlando proprio del racconto di apertura, che lei ha scritto. Si gioca sin dall’inizio con le identità, o meglio con una sostituzione continua di personaggi e storie che cambiano e si innestano gli uni sugli altri. Virgilio viene raccontato nel suo ultimo viaggio, in preda ad una febbre che lo rende vittima di un delirio intermittente, mentre il colto scriba Anthos, compagno di una vita del maestro, a poco a poco entra in scena come protagonista nel racconto dell’Eneide, indossando, prima con titubanza, poi con la sicurezza di un primo attore, la maschera di Enea: inizia un dialogo in cui il demiurgo Virgilio si confronta con la sua creatura Enea, per interposta persona, mai come in questo caso sia individuo/ soggetto sia maschera, alla latina. Man mano che la lettura procede, si ha come l’impressione che appunto per Virgilio «la storia che stava raccontando a se stesso era diventata quella che altri raccontavano accanto a lui». L’effetto che ne deriva è quello di un’immagine in dissolvenza che impedisce di identificare i contorni precisi dei protagonisti, una storia che manderebbe in mille pezzi le rigide distinzioni della critica strutturalista di G. Genette (Figures III, 1972) che meticolosamente distingueva istanza narrativa da istanza autoriale, narratore extra- o intra-diegetico, o ancora etero- od omo-diegetico. In Anthos che diviene ma allo stesso tempo si finge Enea, in Virgilio che racconta e plasma la storia dell’eroe in cui rifonde però parte di se stesso, ci è parso di vedere un’eco della poetica e della letteratura di Fernando Pessoa, alla luce anche della dedica del racconto ad Antonio Tabucchi… si tratta di verità o finzione?

Bettini: Ho poco da aggiungere alla vostra analisi… Comunque Genette, soprattutto negli ultimi contributi, era diventato un po’ una machine, entrava dentro un testo e uscivano una serie di saggi, utili per la carriera accademica di tante persone ma che secondo me non portavano da nessuna parte. Come dire, vivificavano l’eterno conflitto che c’è tra chi scrive e chi scrive su chi scrive. L’interpretazione che voi date del racconto è particolarmente bella, forse neppure io l’avevo messa a fuoco così bene.

Siamo noi che scriviamo su chi scrive, insomma, mentre scriviamo di lei; ci siamo permessi…

Bettini: Avete fatto bene a permettervi. Quello che posso però aggiungere è una domanda che ho sempre fatto a me stesso e che ha un ruolo centrale nel mio racconto: ma perché Virgilio aggiunge la storia di Didone? C’era già Didone nel poema di Nevio? Mi pare di no. Che bisogno c’è di inserire una storia di amore infelice fallito dentro un poema epico? Né l’imitazione del modello ellenistico né l’ostilità nei confronti di Cartagine sembrano essere buone risposte. Io mi sono sempre posto questa domanda e ora chiedo di nuovo conferma a Mario Lentano: è vero che Enea fa una figura assolutamente penosa in questo caso? Il mio racconto nasce da quello che scrive il Professor Lentano: l’amore a Roma è divieto, deve essere in un certo modo e non in un altro… dietro l’episodio di Didone c’è probabilmente una piega personale di Virgilio che è quella che io invento nel racconto; ma anche una piega culturale più visibile, che è quella che poi sta nel saggio (cap. III, Aeneas in love, Ndr.).

Lentano: Io sono d’accordo. Il problema è un problema reale, io sono convinto a mia volta che tutte le soluzioni proposte finora non abbiano nessun senso. È difficile pensare all’epoca della composizione dell’Eneide ancora al conflitto tra Cartagine e Roma. Io ho in realtà anche una convinzione e ho un po’ battagliato con il Professor Bettini per affermarla: credo che Virgilio intendesse anche prendere posizione nei confronti di una stagione della letteratura e della cultura latine, in parte ancora in corso mentre l’Eneide stava prendendo forma, e che proponeva una visione dell’amore, del rapporto tra i sessi, della gerarchia che deve esistere tra l’eros e il mos molto diversa da quella che evidentemente l’Eneide propone. In un contesto di questo genere, il mito di Enea e Didone ha anche la funzione di fare argine ad una idea dell’amore che si era concretamente reificata in una serie di esperienze letterarie, come quella di Catullo e dei poeti elegiaci che Virgilio conosce molto da vicino; Virgilio però ne avverte anche il pericolo insieme con la necessità di estrometterle da un progetto di ricostituzione complessiva della società che è quello che Augusto sta cercando di mettere in atto. A me piace pensare che ci sia pure questa componente, anche se mi guardo bene dal sostenere che la polemica letteraria sia la ragione principale di questo episodio. Sottopongo comunque questo come tutto il resto del libro alla valutazione di chi lo leggerà.



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